Competenze e benessere organizzativo nelle PA e nelle aziende: i numeri, il quadro evolutivo e le prospettive emersi nell’indagine Nomisma – PIESSEPI

Servizi Tecnici

Il complesso contesto congiunturale e le sue ricadute sulla società hanno modificato l’approccio delle aziende italiane verso la definizione di nuovi modelli di organizzazione e di lavoro, tanto che il 61% di queste ha introdotto attività di cambiamento, sviluppo o revisione su organigramma e ruoli organizzativi, il 44% è intervenuto sui sistemi informativi e più di un terzo ha modificato processi, procedure e competenze. In più, un’azienda su due ha concesso lo smart working per migliorare il benessere dei propri dipendenti. 

Sono questi i principali elementi di riflessione emersi durante l’evento “Competenze e benessere organizzativo nella pubblica amministrazione e nelle aziende”, iniziativa organizzata da PIESSEPI e Nomisma in collaborazione con G.I.D.P./H.R.D.A. Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale.

All’appuntamento, moderato da Alfredo Montanari, Associate Dean Bologna Business School, hanno partecipato: Marina Vederajme, Presidente G.I.D.P.; Anna Rita Borraccetti, Amministratore unico PIESSEPI; Gianluca Galletti, Consigliere d’Amministrazione Nomisma e Vicepresidente Emil Banca; Francesco Raphael Frieri, Direttore generale Risorse, Europa, Innovazione e Istituzioni Regione Emilia-Romagna; Loretta Chiusoli, Corporate HR Director CRIF; Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence di Nomisma. 

Approfondiamo in questo articolo alcuni dei risultati emerse dall’indagine Nomisma – PIESSEPI realizzata con il supporto di G.I.D.P, in cui – alla luce del complesso contesto congiunturale – sono stati valutati i cambiamenti introdotti nelle aziende e nella pubblica amministrazione italiana in merito a iniziative funzionali alla innovazione organizzativa, alla generazione di maggior benessere aziendale e al rafforzamento delle competenze digitali.

Lo scenario evolutivo e l’impatto sulle imprese italiane, Silvia Zucconi, Nomisma

Nomisma ha avviato i lavori con i dati raccolti sullo scenario evolutivo, fondamentali per contestualizzare l’incertezza e l’intensità degli impatti su imprese e persone della pandemia prima e poi della crisi causata dal conflitto in corso in Ucraina.

“L’attuale andamento congiunturale è connotato da un clima gravato dalle tensioni generate dal conflitto russo-ucraino, con crescenti difficoltà di approvvigionamento di molte materie prime con implicazioni sulle catene di fornitura globali e con una pressione inflazionistica che non si registrava da decenni.

Condizioni che impattano sull’economia italiana: secondo lo scenario base, l’andamento del PIL italiano ancora in campo positivo per l’anno in corso (+3,4% rispetto al 2021) ma con una “crescita zero” per il 2023” – ha introdotto Silvia Zucconi.

D’altra parte, in base all’ipotesi più che verosimile di lunga durata del conflitto, è prevista addirittura una brusca frenata dell’economia italiana con ripercussioni visibili già per il 2022 e con una decrescita di 2 punti percentuali per il 2023.

“I consumi delle famiglie chiaramente subiscono questa situazione: dopo un biennio con segno positivo, è prevista una fase di stagnazione per il 2023 nonostante la spinta derivante dalla crescita dei prezzi”.

 

In questo scenario deteriorato, le aziende stanno subendo trasversalmente in tutti i settori l’impatto dell’inflazione trainata soprattutto dal caro-energia, con un aumento della bolletta energetica per le imprese che si attesta a 110 miliardi di euro in più rispetto allo scorso anno. Anche l’impatto sulle famiglie è significativo, con una perdita di potere d’acquisto pari a 2.300 euro.

La crisi in atto ha inferto un duro colpo sul sentiment delle imprese italiane relativo all’andamento economico del settore in cui operano. 

La fiducia delle imprese a settembre 2022 è in peggioramento rispetto ai livelli registrati a giugno e a quelli del 2021. Inoltre, la consultazione del Panel Imprese Nomisma ha evidenziato come il 30% delle imprese dichiara che l’andamento economico generale del settore in cui opera sia peggiorato rispetto al 2021 e le prospettive future in questo clima di incertezza non sono del tutto rosee anche per il prossimo: solo il 10% prevede un 2023 in miglioramento e un 41% in peggioramento. 

Un insieme di fattori che producono incertezza diffusa e che si riflettono anche sull’umore e il benessere psicologico degli italiani, preoccupati in particolare per la situazione economica familiare (41%), per l’aumento generale dei prezzi (40%) e per la situazione lavorativa (30%).

“Oltre il 35% degli italiani segnala di sentirsi perennemente stressato, di avere ripercussioni nel ritmo sonno/veglia (30%), di provare ansia e apprensione eccessiva (23%). Il lavoro è sicuramente uno dei fattori che incide su questo stato psicologico, con due ambiti che generano stress: l’incertezza della situazione lavorativa e la difficoltà a trovare un equilibrio fra la vita privata e il lavoro”.

Secondo i dati ISTAT, elaborati da Nomisma, sei milioni gli italiani soffrono di stress da lavoro: di questi, 3,5 milioni sono donne. Un elemento di cui tenere conto nell’organizzazione delle aziende. Ma l’Italia non è un caso isolato: lo studio conferma che per 44% degli Europei lo stress sul lavoro è aumentato dopo la pandemia. 

La ricerca Nomisma-Piessepi realizzata in collaborazione con G.I.D.P. ha valutato il punto di vista delle imprese, evidenziando come la strategicità delle risorse umane in questo contesto sia un elemento imprescindibile per la competitività delle aziende italiane. La struttura imprenditoriale del nostro paese mostra però ancora molte aree di lavoro: oltre 5 milioni di imprese attive nel 2022 di cui 99% di dimensioni micro o piccole dove la presenza nell’organizzazione di una figura interamente dedicata a gestione e “manutenzione” delle risorse umane è ancora un caso isolato.

“Oggi le imprese lamentano crescenti difficoltà nel reperire personale rispetto al 2017: il 32% delle nuove posizioni presenta difficoltà nell’individuare le risorse in entrata. Fra gli ostacoli, sono indicati non solo il costo del lavoro (nel 48% dei casi), ma anche la sostenibilità futura dei costi delle risorse umane (27%) e la difficoltà di reperimento del personale con adeguate competenze tecniche (21%). Per queste motivazioni, avere un HR manager oggi è già un elemento distintivo di competitività dell’azienda. Ma a fronte di una pletora delle imprese attive in Italia, sono solo 140mila le realtà in cui opera un Human Resourses Manager con il vantaggio di gestire il capitale umano dell’azienda con una figura specializzata e integralmente dedicata allo sviluppo delle risorse.

Già questo esiguo numero rappresenta un elemento di riflessione rispetto a quanto sia importante lavorare all’organizzazione delle aziende rafforzando un ambito strategico imprescindibile, soprattutto alla luce del complesso contesto” – ha sottolineato Silvia Zucconi

Mappatura delle competenze e benessere organizzativo 

La survey Nomisma-Piessepi in collaborazione con G.I.D.P. sulle imprese rappresenta uno strumento prezioso per valutare le transizioni in atto derivanti dalle sollecitazioni prodotte prima della pandemia e poi dall’attuale congiuntura e per verificare l’approccio delle aziende italiane verso la definizione di nuovi modelli di organizzazione e di lavoro

“In questo contesto, si è resa necessaria una mappatura puntuale e aggiornata, realizzata su un campione di 100 aziende champion di dimensioni rilevanti in termini di fatturato e occupati, che consentono di comprendere come, negli ultimi anni, si sono organizzate le aziende per promuovere le competenze, il benessere organizzativo, la gestione dello smart working e delle skill digitali”. 

Il 61% delle aziende coinvolte nella rilevazione ha introdotto attività di cambiamento, sviluppo o revisione relativamente all’organigramma e ai ruoli organizzativi, il 44% ha lavorato sui sistemi informativi e più di un terzo (36%) ha modificato processi e procedure e ha attivato attività allo scopo di rafforzare le competenze. “In particolare, la survey ha evidenziato che le aziende private sono state il target più propenso ad introdurre elementi di revisione rispetto all’organizzazione; ma gli elementi di trasformazione che si sono resi necessari post-Covid hanno riguardato anche gli enti pubblici che non sono rimasti estranei a questa spinta di cambiamento. Rispetto a tali cambiamenti, l’88% degli HR ha valutato positivamente le attività di cambiamento, sviluppo e revisione avviate negli ultimi 24 mesi”. 

Tra gli elementi e gli aspetti che hanno limitato il raggiungimento degli obiettivi legati al cambiamento, un terzo degli HR indica la scarsa quantità di risorse umane dedicate allo sviluppo delle attività, il 26% afferma di aver riscontrato problemi nella comunicazione e 1 HR su 4 ha percepito difficoltà nello sviluppo dell’organizzazione e nella gestione delle persone.  

“Introdurre degli elementi di cambiamento è un’attività complessa, che ricade a cascata su tutta l’organizzazione e rappresenta quindi un fattore di gestione molto importante”. 

Inoltre, lo scenario che si prospetta ha rimesso al centro l’importanza delle soft skills e della formazione dei dipendenti. Quasi la metà delle aziende coinvolte dichiara di aver effettuato attività di formazione tecnica negli ultimi 24 mesi, il 42% ha svolto attività di formazione delle soft skill e il 23% ha intrapreso percorsi di coaching individuali che supportano le persone nella loro fase di crescita. 

“In conclusione, l’86% degli HR valuta positivamente le attività di miglioramento delle competenze manageriali intraprese negli ultimi due anni”.

Di contro, gli aspetti principali che hanno limitato lo sviluppo di tali attività sono stati la scarsa quantità di risorse umane dedicate (32%), il budget economico a disposizione (22%) e lo sviluppo dell’organizzazione e gestione delle persone (20%).

Benessere organizzativo e smart working

L’evento “Competenze e benessere organizzativo nella pubblica amministrazione e nelle aziende” è stato inoltre sede di un proficuo dibattito sui temi del benessere organizzativo e dello smart working, riflessione arricchita dal contributo di Silvia Zucconi che ha evidenziato il ruolo decisivo del benessere dell’organizzazione nei processi di business.

“Negli ultimi 24 mesi si è registrata grande reattività delle imprese, che hanno introdotto innovazioni in 9 casi su 10. Il Covid-19 ha rappresentato una minaccia per la salute e l’integrità fisica delle persone, portando ancora di più il tema del benessere dei dipendenti sotto la lente d’ingrandimento dei datori di lavoro. È emersa l’esigenza di uno stile di leadership in grado di definire e promuovere un adeguato equilibrio tra lavoro e vita privata e maggiore flessibilità sul lavoro” – ha osservato Silvia Zucconi. 

Entrando nel merito della survey, più della metà delle aziende intervistate (il 54%) dichiara di aver concesso lo smart working ai propri dipendenti, il 41% di aver intrapreso iniziative volte alla sicurezza e salute dei dipendenti sul luogo di lavoro e più di un terzo ha fornito servizi di welfare aziendale ai lavoratori (35%). 

“Ma si è lavorato tanto anche sulla possibilità di conciliare la vita lavorativa con quella privata (33%) e sul clima di appartenenza all’azienda (23%), un elemento importante da considerare, forse non tangibile, ma rilevante in questa fase delicata di trasformazioni. Invece, fra gli elementi che hanno limitato le iniziative volte al miglioramento del benessere organizzativo, si segnala la comunicazione (25%) e l’impatto sull’organizzazione e/o sulle persone (20%)” – ha sottolineato Silvia Zucconi. 

I principali ostacoli allo smart working per circa un terzo dei responsabili HR sono stati legati alla tipologia di ruolo o mansione (32%), per il 29% alla scarsa capacità del management di gestire i collaboratori e per il 24% a limitate competenze personali in materia di organizzazione del lavoro. 

Tuttavia, nel complesso 8 HR manager su 10 sono oggi soddisfatti delle attività avviate negli ultimi 24 mesi per il miglioramento del benessere organizzativo dei dipendenti.

Digital Transformation e competenze digitali

Lo studio si è infine soffermato sui processi di Digital Transformation, un aspetto oggi dirompente che impone alle aziende di adeguarsi all’integrazione delle tecnologie digitali in tutte le aree aziendali. 

“Le competenze digitali sono elementi che hanno accelerato i ritmi del lavoro, ma al tempo stesso hanno anche generato fattori di tensione e di stress legati proprio ai tempi della produttività. Il 28% dei lavoratori è affetto da tecnostress: un dato su cui riflettere, perché la digitalizzazione è un’opportunità enorme e allo stesso tempo un elemento imprescindibile per le aziende di oggi, ma può avere delle ripercussioni sulla sostenibilità del lavoro” – ha commentato Silvia Zucconi. 

Dall’indagine emerge come circa un terzo delle aziende coinvolte afferma di aver effettuato attività di formazione sull’uso di softwares interni specifici, il 21% di aver effettuato corsi di formazione tecnica relativi all’utilizzo dei principali pacchetti base e il 17% di aver adottato nuovi sistemi ERP (Enterprise Resource Planning) per gestire le attività quotidiane di business come contabilità, project management, gestione del rischio e operazioni legate alla supply chain. 

“Anche in questo caso, lo studio ha registrato la soddisfazione degli HR, che hanno valutato positivamente le iniziative intraprese per migliorare le competenze digitali negli ultimi 24 mesi per l’88% degli intervistati”. 

Tra le principali difficoltà riscontrate dalle aziende nella gestione delle iniziative volte al miglioramento delle competenze digitali vi sono: la quantità di risorse umane dedicate (28%), le tempistiche del progetto (24%) e la gestione dell’organizzazione e delle risorse umane (22%).  

L’indagine definisce quanto le risorse umane siano oggi un asset imprescindibile per supportare performance e competitività di aziende ed enti pubblici. La pandemia e l’attuale scenario congiunturale hanno impresso una forte accelerazione alla digitalizzazione in molte funzioni organizzative, dove lo smart working rappresenta solo un esempio del cambiamento. 

La revisione dei processi, delle procedure e dell’organizzazione hanno comportato l’attivazione di nuovi modelli di lavoro e di gestione delle risorse umane dove il benessere organizzativo rappresenta un elemento cruciale del cambiamento.

In questa fase di profonda trasformazione, si è accentuata la complessità di reperire nuovo personale soprattutto se con competenze tecniche. 

La presenza di un manager dedicato alle risorse umane rappresenta un elemento distintivo della competitività nonostante oggi la presenza di una figura sia ancora limitata ad un cluster di aziende molto ridotto”, ha sottolineato Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence Nomisma. 

“Lo studio conferma il ruolo centrale degli Hr manager chiamati ad accompagnare le persone ad affrontare i cambiamenti organizzativi nelle aziende attraverso la formazione, il coaching e la ridefinizione dei tempi e degli spazi di lavoro”, ha sottolineato Marina Verderajme, Presidente G.I.D.P.

“I risultati della survey confermano quanto osservo ogni giorno sia nel pubblico che nel privato. Il Covid ha forzato alcuni cambiamenti ponendo, in maniera più decisa rispetto al passato, sul tavolo di ogni organizzazione tematiche come la digitalizzazione e il benessere dei lavoratori. Anche la pubblica amministrazione, seppur con qualche rigidità in più, ha fatto importanti passi avanti negli ultimi due anni. Purtroppo, però, la crisi economica che abbiamo davanti impone di cambiare passo, un salto di qualità che sarà possibile solo investendo in formazione, upskilling e reskilling”, afferma Anna Rita Borraccetti, Amministratore unico Piessepi.

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Nomisma, in partnership con Piessepi, è in grado di supportare imprese, enti pubblici, ordini professionali nel gestire l’introduzione di  cambiamenti organizzativi e l’assesment delle risorse umane.

In questa prospettiva il servizio include dati e soluzioni su:

  • Piano dei fabbisogni del personale
  • Change management
  • Valutazione del potenziale delle risorse
  • Valutazione del management
  • Valutazione delle performance individuali 
  • Head hunting & talent acquisition
  • Formazione su specifici ambiti di competenza
  • Sistemi gestionali delle risorse umane

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