Direttiva “Case Green”: occorre un piano nazionale per consentire alle famiglie di aderire a una transizione graduale ed equa

Strategic Advisory

Dopo un anno di dibattito, il Parlamento Europeo ha approvato lo scorso 12 marzo la direttiva “case green” (Energy performance of building directive, EPBD) con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 a effetto serra e il consumo energetico entro il 2030, in vista del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Ora il provvedimento dovrà ricevere l’approvazione formale del Consiglio e poi andrà in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore.

Un testo meno ambizioso, più tiepido e flessibile rispetto alla prima versione, che non parla più di classi energetiche, ma di emissioni, e che posticipa alcuni traguardi e affida ai singoli stati membri l’individuazione di un piano nazionale per ristrutturare gli edifici residenziali più energivori” – introduce Marco Marcatili, Direttore Sviluppo di Nomisma, commentando la nuova direttiva europea.

La novità più importante della direttiva, dunque, coinvolge le abitazioni private, per le quali è richiesta una riduzione progressiva delle emissioni: il 16% entro il 2030 e il 20-22% entro il 2035. Dal 2040 dovranno inoltre essere eliminate completamente le caldaie a metano (per le quali dal 2025 cesseranno tutti gli incentivi), con l’obiettivo finale del 2050, in cui l’intero parco residenziale dovrà essere carbon neutral.

Di positivo c’è che per contabilizzare nel 2035 l’effettiva riduzione, l’anno zero è stato fissato al 2020. Quindi nel calcolo sono compresi gli interventi di efficientamento energetico effettuati con il Superbonus, che hanno coinvolto il 3,5% circa del parco residenziale del Paese, e tutte le misure di incentivazione edilizie che hanno consentito di raggiungere una riduzione certa dei consumi al 2022 del -4,4%, stimabile ad oggi in un -6%” – osserva Marcatili.

La sfida, oggi e nel prossimo futuro, è dunque quella di allargare la platea di soggetti in grado di aderire alla transizione.
Ma come mettere le famiglie italiane nelle condizioni di intervenire sulla propria casa per recepire la direttiva e contribuire così alla richiesta del Parlamento Europeo?” – si interroga Marcatili.
Innanzi tutto servirebbe un piano nazionale credibile per sostenere il percorso di riqualificazione del patrimonio immobiliare perché oggi, con il susseguirsi delle crisi finanziarie, la piccola proprietà è più frammentata e fragile e non sempre ha le capacità di tenersi al passo con gli obiettivi di transizione energetica e ambientale. Pertanto, il piano non può prescindere dal ripristino della cessione del credito, combinato con un incentivo diversificato per ‘condizione condominiale’ e ‘profondità dell’intervento’, e dagli strumenti di tipo Esco (Energy Service company), in grado di anticipare alle famiglie italiane i benefici del risparmio energetico”.

La strategia organica suggerita da Nomisma, inoltre, dovrebbe riordinare il quadro attuale in materia di sussidi e bonus, “che rischiano di finanziare i piccoli interventi, insufficienti a garantire da soli gli obiettivi richiesti dalla direttiva, e non le ristrutturazioni profonde, che agiscono sull’intero edificio e gli impianti e permettono, invece, di ridurre le emissioni in modo più performante”.

Le riqualificazioni degli immobili, peraltro, sono il miglior antidoto per mantenere e migliorare il valore della casa. “Come abbiamo visto negli ultimi anni, infatti, esiste un green premium del valore immobiliare tra il 15% e il 25%, che ancora una volta deve responsabilizzare le istituzioni a interpretare le politiche dei bonus come strumento di redistribuzione. Senza questi interventi, e soprattutto senza un piano nazionale equo, ponderato e accessibile a tutte le famiglie italiane, il rischio è che possa aumentare ancora la forbice sociale tra chi recepisce la direttiva e chi, invece, resta indietro e vede inesorabilmente deperire il valore del proprio immobile. Un errore da non ripetere, visto quanto accaduto con il Superbonus” – conclude Marcatili.

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