Greenwashing, verso una direttiva comunitaria

Strategic Advisory

L’evoluzione delle pratiche commerciali verso un approccio green è un obiettivo chiave dell’agenda economica globale. Tuttavia, lungo il percorso verso la sostenibilità c’è il rischio di incorrere nel greenwashing, una pratica che mira a dare un’immagine illusoria di sostenibilità senza un reale impegno corrispondente. che è stata recentemente oggetto di un seminario di approfondimento organizzato da NE Nomisma Energia.

Per proteggere i consumatori e l’ambiente dalle pratiche sleali e dall’informazione ingannevole, nel marzo del 2022 la Commissione Europea ha avanzato una proposta di regolamentazione.

Nel gennaio del 2024, il Parlamento Europeo ha dato il suo via libera, con ampio consenso, all’approvazione del testo che modifica le precedenti direttive (2005/29/CE e 2011/83/UE) e che ora attende la convalida finale del Consiglio, dopodiché gli Stati membri avranno due anni per recepirla a livello nazionale.

Cosa prevede la nuova direttiva

Nel dettaglio, la direttiva UE mette in luce l’importanza di informazioni chiare, pertinenti e affidabili per i consumatori, al fine di favorire modelli di consumo più sostenibili e di contrastare pratiche commerciali sleali, tra le quali il greenwashing.

Nello specifico, dal 2026 le aziende dovranno fornire prove evidenti sulla fondatezza delle affermazioni ambientali riguardanti i loro prodotti o servizi. Inoltre sarà vietato l’uso di indicazioni ambientali generiche (come “rispettoso dell’ambiente”, “naturale”, “biodegradabile”) e sarà autorizzato solo l’uso di marchi di sostenibilità basati su sistemi di certificazione approvati.

In futuro, anche l’etichettatura dei prodotti dovrà essere più chiara e affidabile, mentre le informazioni sulla garanzia dovranno essere più visibili. Infine, sarà vietato fornire informazioni infondate sulla durata dei prodotti, sulla necessità di sostituzione e sulla loro riparabilità.

Ma quali sono i rischi del greenwashing per le aziende?

Innanzitutto vanno considerati i rischi per la reputazione: la scoperta di pratiche di greenwashing può infatti danneggiare gravemente l’immagine dell’azienda e minare la fiducia dei consumatori e degli stakeholder.

Da non trascurare, inoltre, i rischi legali e di conformità: le aziende colpevoli di greenwashing possono andare incontro ad azioni legali, sanzioni e multe da parte degli enti regolatori, oltre a dover sostenere costi significativi per conformarsi alle normative ambientali.

Relativamente ai rischi finanziari, il greenwashing può portare a una perdita di fiducia dei consumatori e, conseguentemente, a una diminuzione delle vendite e dei ricavi. Per altro, gli investitori e le istituzioni finanziarie sono sempre più attenti alla sostenibilità e possono essere riluttanti a supportare aziende coinvolte in pratiche ingannevoli.

Rilevanti anche i rischi operativi: concentrarsi sul greenwashing può distogliere attenzione e risorse dalle vere pratiche sostenibili, ritardando la transizione verso un modello aziendale più ecologico.

Infine, da sottolineare i rischi strategici: le aziende coinvolte nel greenwashing rischiano di perdere il vantaggio competitivo a lungo termine rispetto a quelle che adottano pratiche sostenibili autentiche. Inoltre, possono compromettere il valore del proprio brand e minare la fedeltà da parte dei clienti.

In estrema sintesi, investire in pratiche aziendali autenticamente sostenibili non solo protegge la reputazione dell’azienda, ma contribuisce anche alla costruzione di un futuro più verde e sostenibile per tutti.

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