Sul contesto internazionale pesano ancora numerosi fattori di incertezza ma le prospettive per l’Italia sono favorevoli

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21 marzo 2024 – Il 2023 si è chiuso con una crescita asimmetrica che ha visto gli Stati Uniti segnare un +3,1% e la Cina un +5,2% mentre nell’Area Euro il Pil ha fatto registrare una crescita zero.
La tempesta energetica sembra essersi (parzialmente) placata, con il prezzo del gas che è tornato ad avvicinarsi ai valori pre-pandemia, mentre quello del petrolio registra ancora prezzi elevati.
Le catene di approvvigionamento globali, che erano tornate a scorrere più fluidamente, sono però state rallentate dalle turbolenze nel Mar Rosso a partire dall’ottobre 2023, evidenziando la fragilità del sistema di approvvigionamento mondiale. A questo riguardo è bene sottolineare come dal Mar Rosso transiti il 12% del volume del commercio mondiale e il 30% dei container, così come il 12% del petrolio e l’8% del gas naturale liquido trasportato via mare. Questo è uno snodo cruciale per l’Unione Europea, visto che il 23% delle sue importazioni proviene dall’area asiatica passando, per la maggior parte, per questo tratto di mare. Per ridurre i rischi di attacco da parte dei ribelli Houthi, le compagnie marittime hanno iniziato a bypassare il Mar Rosso deviando le rotte verso il Capo di Buona Speranza, ma questo ha allungato i tempi di spedizione tra l’Asia e l’Europa di 10-15 giorni facendo lievitare i costi di trasporto e assicurativi.

In uno scenario ancora molto complesso, il 2023 ha visto un crollo dell’inflazione con una rapidità doppia rispetto a quella impiegata per salire fino al picco del 2022: a febbraio 2024, l’Area Euro registrava un tasso di inflazione del 2,6%, identico a quello tedesco, mentre negli Stati Uniti risultava al 3,1%; la Cina, invece, cresce senza inflazione.

Considerando l’indice generale di inflazione come somma di quella core e di quella volatile, rappresentata dai beni energetici e alimentari, va sottolineato come in Europa la crescita sia stata trainata dalla componente volatile dei beni energetici, che poi ha ceduto il passo alla componente core: nell’Area Euro il 2,6% di inflazione è la risultante di un’inflazione core al +3,2% attenuata da un calo dell’inflazione energetica, al -3,7%, mentre resta elevata la componente alimentare (+5,4%).
Negli Stati Uniti, invece, fin dall’inizio è stata la componente core il motore inflattivo.

Proprio nel timore di una ripresa dell’inflazione, nella riunione del 7 marzo scorso la BCE ha posto in essere una politica attendista non modificando il tasso d’interesse per la terza volta consecutiva, seguita a ruota dalla FED che ha sua volta ha lasciato inalterati i tassi. Questa eccessiva prudenza lascia molte perplessità in numerosi analisti in quanto le evidenze sembrano mostrare l’inefficacia della politica monetaria restrittiva verso il contenimento dell’inflazione core. Al contempo, l’aumento repentino dei tassi di interesse negli ultimi anni ha generato turbolenze sui mercati finanziari, restringendo le concessioni di credito alle imprese e alle famiglie, e ha penalizzato i Paesi con un elevato debito pubblico.

L’attuale situazione di stallo non fornisce indicazioni chiare e per molti osservatori il 2024 sarà l’anno della verità per comprendere la direzione imboccata dal sistema economico. Nello specifico, il secondo trimestre dell’anno in corso potrebbe essere cruciale per tracciare la direzione delle aspettative, puntando in modo deciso sulla crescita oppure iniziare ad attendersi l’inizio di una nuova recessione.

Il contesto italiano

Nel 2023, dopo due anni di vigorosa crescita economica, il Paese ha segnato un rallentamento chiudendo l’anno con una crescita del +0,7%, che comunque resta superiore al dato dell’Eurozona (+0,1%), con la Germania addirittura in recessione (al pari dell’Inghilterra).
Il rallentamento dell’UE desta preoccupazioni in quanto la metà delle esportazioni italiane sono dirette verso l’Europa, con la Germania primo mercato di sbocco in assoluto. Se il rallentamento europeo dovesse permanere o addirittura peggiorare le ricadute sul nostro tessuto produttivo sarebbero inevitabilmente molto serie.

La produzione industriale ha mostrato una dinamica leggermente discendente, che ha fatto chiudere il 2023 con una diminuzione del -2,5% rispetto al 2022. Il fatturato industriale resta invece sostanzialmente stabile, con una flessione soltanto del -0,5% rispetto all’anno precedente.
Migliora notevolmente l’occupazione, che per tutto il 2023 è cresciuta ininterrottamente raggiungendo il livello record del 61,8%, con dati prossimi alla piena occupazione in diverse regioni del Nord. Nello specifico, nei dodici mesi l’occupazione è cresciuta del 2,4% per i dipendenti permanenti mentre è calata del -1,1% per i dipendenti a termine.

Il netto miglioramento occupazionale, unito ad una dinamica economica che ha sostanzialmente retto, ha favorito il clima di fiducia che da metà del 2023 si è mantenuto stabile, con le componenti dei consumatori e delle imprese appaiate.

Relativamente all’inflazione, l’Italia è l’economia dell’Eurozona che vanta quella più bassa, allo 0,8% contro il picco del 12,6% nell’ottobre 2022, assai minore rispetto a quella europea (2,6%), tedesca (2,5%) e americana (3,2%). Da fine 2022 l’inflazione è precipitata causa il calo del prezzo dei prodotti energetici e da metà 2023 ha iniziato a diminuire anche la componente core, annullando l’inflazione totale. In questo scenario va sottolineato come l’inflazione sui prodotti alimentari sia rimasta positiva, gravando sul reddito disponibile delle famiglie.

Se il contesto economico europeo risulta meno favorevole rispetto al passato, l’Italia si trova in una posizione migliore al confronto di altri Stati membri. L’inflazione è bassa ma è necessario del tempo per recuperare due anni e mezzo di ridotto potere di acquisto da parte delle famiglie, che hanno accresciuto il ricorso al credito per mantenere il precedente tenore di vita. Al contempo, l’occupazione in forte aumento ha esaurito il bacino di risorse umane nelle regioni del Nord, dove la carenza di personale è un problema che potrebbe ulteriormente aggravarsi durante l’anno. La partita delle materie prime ed energetiche non è ancora conclusa e i focolai dei prezzi sono pronti a riaccendersi qualora si dovessero innescare nuove tensioni geo-politiche in parti del mondo apparentemente distanti. A questo proposito, le recenti turbolenze nel Mar Rosso rimarcano la fragilità delle catene di approvvigionamento, che per essere rafforzate necessitano ingenti investimenti e tempo. Infine, resta vivida l’incognita tedesca: la Germania è il principale mercato di sbocco delle esportazioni italiane e se la sua economia dovesse continuare a mostrare le attuali sofferenza saranno pesanti i contraccolpi sulla nostra manifattura.

Di Lucio Poma, Capo Economista Nomisma

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